Claudio Marchisio
"È tempo di ripartire,
il calcio è... un'azienda"
ROSELINA SALEMI
Negli ultimi cento anni non abbiamo visto niente del genere. Non solo perché il Covid è stato uno shock, ma perché lo stiamo vivendo nell’era della globalizzazione, del turismo e degli spostamenti di massa". Claudio Marchisio, 34 anni, occhi azzurrissimi, ex capitano della Juventus detto il Principino, oggi è un influencer da 4,6 milioni di follower su Instagram. Fa l’ambassador delle calze Red (un paio, special edition, hanno con la coroncina in omaggio al suo "titolo"), del profumo di Armani Acqua di Giò, va in televisione, ha un’agenzia che si occupa dell’immagine di atleti e protagonisti dello sport.
A dispetto di tutti i luoghi comuni sui calciatori potrebbe partecipare tranquillamente a un talk show politico come rappresentante del partito del buonsenso. Anche sulla pandemia: "Il virus non mi spaventa. Certo, se uno ha problemi di cuore rischia più di altri. Dei calciatori, per esempio. Mi ha spaventato, alla fine di aprile, vedere i centri di assistenza chiusi e la gente che dormiva sotto i portici a Torino. E oggi mi spaventa il virus economico, la crisi. Bisogna ripartire. È brutto vedere gli stadi vuoti. Vi immaginate un concerto con soltanto il cantante sul palco? Lo sport significa aggregazione e passione, unisce, trasmette positività. Bisogna ripartire per salvare la gente che lavora. Il calcio è anche un’azienda". Riflette sulla nostra presunzione, sull’idea dell’uomo che domina la natura, " invece la natura si prende terribili rivincite. E se all’inizio nessuno, neanche medici e virologi avevano certezze assolute sulla malattia, non posso capire i negazionisti e quelli che dicevano: la mascherina non serve".
Marchisio, come tanti, ha sperimentato lo smart working: "Skype, Zoom e le piattaforme digitali mi hanno permesso di andare avanti, di fare progetti. Ma per tornare alla normalità bisogna ripensarla. A me, alla mia famiglia, ai miei parenti auguro una normalità che non sia quella pre-covid. Il lockdown ci ha fatto vedere quanto erano esasperate le nostre vite, sempre alla ricerca di nuove avventure, di una velocità che andava troppo oltre. L’obiettivo ora è cercare di ridurre lo stress, migliorando l’esistenza e il lavoro di tutti. Abbiamo corso con un ritmo difficile da mantenere. Tutto è accelerato, anche nella singola prestazione. Il centometrista deve abbassare i record. Ci deve essere rapidità di recupero nell’infortunio, rapidità nel capire l’avversario, rapidità nel prendere decisioni. Nello sport bisogna arrivare a un certo risultato. Comanda la finanza, ormai…".
Ma possiamo davvero rallentare? Trovare un altro modello? Il virus ci può insegnare qualcosa di buono? A Marchisio ha insegnato molto: "Abbiamo bisogno del contatto, viviamo il ‘together alone’, pensiamo di essere immersi nel mondo e invece siamo soli. Abbiamo così tante informazioni e opinioni da fonti diverse (prima c’era solo la televisione) che orientarsi diventa complicato. La qualità della vita di ognuno è a rischio. Ho amici che hanno cambiato lavoro, e non perché andava male o erano scontenti. Il lockdown li ha aiutati a comprendere lo stile di vita che volevano, la qualità del tempo. L’ho visto con i miei figli, Leonardo e Davide. La base solida di un bambino sono i genitori: stare tutto il giorno a casa con i miei ha trasmesso sicurezza".
Queste settimane di numeri tristi (i contagiati, terapie intensive, i morti) hanno suggerito al "Principino" momenti di introspezione, di confronto con se stesso: "Ho trovato il mio equilibrio così come sono. Ho i tatuaggi, e va bene, ma tornassi indietro non ne rifarei neanche uno, vorrei il corpo pulito. Sono cresciuto con i social, e cerco di usarli anche in modo educativo, dando consigli ai giovani, ma se tornassi indietro non farei neanche i social".
28.11.2020