Nadia Urbinati
"Donne anche leader ma...
senza cedere al populismo
ROSELINA SALEMI
Politologa, docente alla Columbia University di New York, Nadia Urbinati, 65 anni, è abituata a guardare oltre i confini e le questioni di genere. Perciò è stata tra le prime a commentare l’articolo di Forbes di Avivah Wittenberg-Cox che pone una questione interessante: come mai in sette nazioni governate da donne (Germania, Finlandia, Islanda, Norvegia, Danimarca, Taiwan, Nuova Zelanda) l’emergenza coronavirus è stata affrontata con risultati notevoli sia sul piano della comunicazione e su quello del contrasto all’epidemia. "Nel mondo, solo il 10% dei Paesi è guidato da donne (il 4% della popolazione mondiale) - dice Urbinati - statisticamente sono un’anomalia, eppure dove governano le cose vanno meglio".
E gli esempi non mancano: Tsai Ing-wen (Taiwan) ha introdotto 124 misure, alcune molto hi-tech fermare la diffusione del virus già in gennaio. Cnn ha definito la sua "tra le migliori risposte al mondo", Katrín Jakobsdóttir (Islanda) ha offerto test gratuiti a tutti e l’App di tracciamento ha evitato la chiusura delle scuole. Poi c’è stato il modo, diverso ed efficace, sostiene Avivah Wittenberg-Cox di esercitare il potere e raccontare l’emergenza. "Se analizziamo i vari comportamenti vediamo linee comuni, Jacinta Ardern, premier neozelandese, si è rivolta alle famiglie, ai nonni. Angela Merkel, che a molti non piace ma tiene in piedi l’Europa, ha fatto un discorso da manuale, è stata diretta, chiara, e si è sforzata di uscire dall’astrattezza di giudizio tipica dei politici. Erna Solberg, in Norvegia, ha dedicato una conferenza stampa ai bambini rispondendo alle loro domande, Sanna Marin, in Finlandia, sapendo che non tutti leggono i giornali, ha coinvolto gli influencer. Queste leader hanno prestato attenzione ad aspetti trascurati da altri. Mi fa piacere che siano state le donne ad avere una visione diversa, e che l’abbiano fatto senza populismi".
Nadia Urbinati ha dedicato il suo ultimo saggio (Io popolo, edizioni Il Mulino) proprio al populismo che sta cambiando la democrazia, trasformandone le procedure, le istituzioni e le pratiche: "Non serve demonizzarlo né essere catastrofisti, ma prenderlo sul serio perché è sintomo di un malessere reale vissuto dai cittadini". Aggravato, in questa prima parte del 2020 dallo shock dell’epidemia. Avendo questi modelli di leadership, queste ottime performance, potremmo concludere con un salto ardito che una guida femminile è la soluzione... "Il tema non è il genere - chiarisce Urbinati - ma la diversità. Il corpo collettivo che deve deliberare è avvantaggiato da pluralismi di competenze ed esperienze. La condizione femminile rientra proprio nell’arricchimento della diversità".
Inoltre, in Paesi grandi e piccoli c’è una similitudine di trend. Da parte delle leader c’è una maggiore elasticità e capacità di affrontare crisi complesse che forse deriva dall’abilità sviluppata nel prendersi cura della specie risolvendo i problemi. "C’è il bisogno di usare strategie strumentali e pragmatiche - sottolinea Urbinati -. Del resto, siamo state educate alla praticità e concretezza. Se è vero che la diversità pone le condizioni migliori per affrontare la crisi, la differenza di genere partecipa alla possibilità di prendere decisioni meno dissennate".
Si può dunque arrivare a una conclusione ragionevole: vale la pena ridurre gli ostacoli che si frappongono alle donne nella competizione per i ruoli dirigenziali. "Ognuna delle leader ha operato molto meglio dei macho per antonomasia: Bolsonaro, Trump e Johnson. Agli scettici (e ce ne sono ancora tantissimi!) sulle donne competenti potremmo dire questo: poiché vi è solo da guadagnare nel provare, si provi!".
11.07.2020