Scomparsi gli opinionisti generici ecco chi c'è alla tele
Il folle, il vecchio saggio...
così la tv si è reinventata
PAOLO TAGGI, AUTORE TELEVISIVO
In Grey’s Anatomy, il primario del Seattle Grace Hospital ha scelto la sala operatoria per il discorso rituale rivolto ai giovani al primo giorno di lavoro in reparto: "Un mese fa, alla facoltà di medicina, i medici erano i vostri professori, oggi i medici siete voi. Verrete messi sotto pressione. Questo è il vostro punto di partenza, la vostra arena. La vostra partita dipende da voi".
La pandemia ha portato tanti giovani medici del mondo a confrontarsi con qualcosa a cui né la scuola né la realtà li aveva preparati. Il coronavirus ha rivelato nuovi fronti, che esistevano solo nei telefilm, come la Emergency Room di E.R. Reparti che nella fiction devono funzionare come organismi perfetti sono deflagrati. I volti degli interpreti (medici e malati) nascosti da scafandri spaziali non hanno potuto farci né da schermo né da specchio. Di fronte alle stesse poche immagini "rubate" che si rivedono da un anno si pensa a una frase-simbolo del dottor House: "Si può vivere con dignità, ma non morire con dignità". Il coronavirus, con i suoi sintomi orribili, ha eliminato il rapporto personale tra pazienti e sanitari, reciso i rapporti tra le persone. Su più fronti. Anche nelle case, dove ci ha costretti per evitare una drammatica
Nomination. C’è stata una prima fase - anche nella reazione televisiva alla pandemia - in cui tutto è sembrato una sconcertante parentesi. Dai balconi delle case di ringhiera, dalle terrazze sui laghi o su Piazza Navona, risuonavano canzoni e sventolavano bandiere. Abbracci virtuali creavano quella che Eugenio Borgna ha definito una inedita comunità di destini. In un tempo liberato dalla prigionia del lavoro, che non si poteva rimettere in circolo, le persone hanno passato in famiglia in un arco concentrato molti più tempo di quello trascorso insieme nella vita precedente. Sedotta dall’happy end, la tv ha dispensato anche negli slot pubblicitari retorici "andrà tutto bene". Audi e Mc Donald hanno addirittura modificato i loghi per promuovere il distanziamento sociale.
Bisognerebbe sapere sempre quando una storia finisce, come sappiamo quante pagine di un libro rimangono o la durata di un film. Ritornata forzatamente al centro dell’attenzione, la tv ha guardato almeno quanto si è fatta guardare, spingendo le persone a filmarsi con i cellulari per farne diari, documentari, speciali celebrativi puntualmente andati in onda quando tutto sembrava finito. Non è andata così. Il lockdown doveva essere a tempo determinato si è prolungato di mese in mese come Grande Fratello, a cui fa da specchio reale. Quella italiana, prigioniera di un incantesimo rovesciato, non sa parlare d’altro che di quello che da un anno continua a ripetere. Scomparsi gli opinionisti generici virologi, biologi, immunologi si sono distribuiti i ruoli classici nella narrazione del Covid: la fatina in prestito da Quark, l’incompreso, il folle, il vecchio saggio, il giovane amante, la biologa seduttiva, il grillo parlante...
Autorizzati a sbagliare ogni ipotesi vista l’estrema mutevolezza del virus, continuano a dispensare speranze e delusioni, buone e cattive non-notizie. Interpreti del bispensiero immaginato da Orwell in 1984, si considerano in buona fede anche quando smentiscono se stessi, pur di fare l’interesse dal talk che li invita a duellare con l’avversario di turno. Le curve di ascolto li riscaldano più dei grafici delle sale di rianimazione e qualcuno si è già candidato alle elezioni regionali o al Ministero della Salute. La trasformazione ha riguardato anche il coronavirus stesso: raccontato come un protagonista di Cattivissimo me.
I grandi show sono svuotati e non credono ai loro finti entusiasmi, la parentesi Sanremo ha risentito anche sul piano del ritmo alla mancanza di applausi, che avrebbero riempito un’ora di trasmissione. In Svizzera, la tv non costretta a gettarsi nella competizione all’ultimo spettatore come quella italiana, è riuscita a sfuggire all’inesauribile variazione dell’identico. Rsi ha inserito un programma di medicina, sfruttando l’aria del tempo e approfittato della presenza di più pubblico a casa per far conoscere il contenitore/fidelizzatore Filo Diretto. Teleticino ha portato avanti un discorso già avviato di dialogo e crossmedialità vincente. Buone performances, in un momento in cui la tv nel suo complesso consegna al mondo come unica certezza un Grande Forse che spaventa quasi come la malattia.
27.03.2021